Un corpo a corpo

Perché una nuova traduzione della Bibbia in Italiano? Su L’Osservatore Romano recensisco la versione appena edita da Einaudi, frutto di un lavoro lungo e atteso. La monotonia è finalmente interrotta: vediamo perché.

Corpo a corpo con la Parola

Le Sacre Scritture nascono e si mantengono plurali, tracce di un Dio vivente. Bando alla monotonia, benvenuta polifonia: la nuova traduzione italiana della Bibbia, edita da Einaudi, è segno di come non bastino mai le letture già avvenute e le interpretazioni cristallizzate. Un contributo atteso, perché se il primo accostamento al canone – per secoli interdetto ai cattolici fuori dal contesto liturgico – lascia trasparire la multiformità di una biblioteca sorta nello spazio di circa mille anni, solo il non adagiarsi nell’abitudine a un’unica traduzione tiene vivo l’appello al lettore. Egli deve coinvolgersi: quanto è scritto lo mobilita, semina interrogativi e solo in tal modo agisce come Parola di Dio. Era particolarmente urgente, allora, interrompere il monopolio che in Italia le versioni CEI (1974 e 2008) hanno de facto instaurato: il progetto diretto da Enzo Bianchi e condotto da un team di dodici tra i più autorevoli biblisti del Paese, giungendo finalmente in libreria, rappresenta una vera e propria svolta, di cui credenti e non credenti potranno beneficiare per decenni. Il testo ebraico vive da sempre delle diverse vocalizzazioni e di continue riletture, di cui lo stesso Nuovo Testamento rappresenta il caso forse più emblematico, non nascendo come un’altra Bibbia, ma come ripresa dal principio (cf. Mc 1,1; Mt 1,1; Gv 1,1) della storia di salvezza. Il ‘cristianesimo’ emerge già da quelle pagine come arcipelago di ‘cristianesimi’ la cui unità è frutto dello Spirito e si dà nella tensione, cioè nel dinamismo proprio della vita di persone e gruppi toccati dalla grazia.

Se di questo non si trattasse, la vicenda del rapporto tra Chiesa e Bibbia non sarebbe tanto travagliata. Alla necessità umana di configurare istituzioni, rapporti, sistemi di pensiero, infatti, resiste l’imprendibilità di Dio, il suo nome impronunciabile che è garanzia di presenza e di futuro, ma nella libertà: testi, dunque, che incorporano una battaglia antidolatrica cui soltanto la loro continua riapertura rende adeguatamente ragione. La stessa Chiesa, che esiste solamente nel plurale delle Chiese, è in tal senso sotto la Parola di Dio: le risponde venendone smossa, così da rimanere corpo vivo, al di là delle paralisi delle sue membra. In questo quadro, tradurre è un modo di non abdicare, di rimanere nel faticoso corpo a corpo col testo, che somiglia alla lotta tra Giacobbe e il Signore, da cui Israele esce azzoppato, ma benedetto (Gen 32,23-33). Preferire la ferita alla forma perfetta: l’avanzare senza perfezione, in modo alquanto scomposto, è indice di un incontro che fa da vulnus all’autoreferenzialità. Zoppica una Chiesa alle prese con il Vivente, ma cammina. Felice la scelta dei curatori di inserire, ad ogni occorrenza del nome impronunciabile del Dio biblico, l’espressione SIGNORE in stampatello: graficamente uno strappo, un’interruzione ripetuta, promemoria – come il tetragramma ebraico – di una presenza che cerca direttamente chi legge, per ingaggiarlo in una storia d’amore personale.

Che sia Einaudi a promuovere questa avventura editoriale e che tra il 1945 e il 1947 il progetto fosse già stato concepito da Cesare Pavese, come avvio della collana I millenni, rivela non solo che con la Bibbia si tratta del grande codice della nostra civiltà, ma anche che in essa può avvenire l’incontro tra Chiesa e mondo contemporaneo. Le Scritture sono ospitali: c’è chi ha descritto la Torah come “una patria portatile” per l’Israele disperso, ma forse l’umanità intera, in diaspora da sé stessa, può imparare dal popolo eletto a ritrovare nella Bibbia il paesaggio di casa. Non è un caso che S. Ignazio inviti alla ‘composizione di luogo’, educando così negli esercizi spirituali ad abitare le scene, a farsi contemporanei dei loro protagonisti, a mobilitare un’intelligenza delle connessioni che congiunge mente e cuore. Così, la presenza in libreria di una Bibbia in versione meno ecclesiastica, in una traduzione che fa lo sforzo di spogliarsi del bagaglio dottrinale che ognuno porta naturalmente con sé, può darci una percezione diversa dei destinatari di Dio, dei confini della Chiesa, dell’ispirazione dello Spirito. È la direzione su cui il Concilio Vaticano II ha impegnato il cattolicesimo a rileggere sé stesso. Soltanto l’apparato iconografico, all’interno dei tre volumi in cui la nuova Bibbia è organizzata, appare agli antipodi della contemporaneità ed estraneo al corpo del testo: il nuovo Evangeliario ambrosiano rappresenta da dieci anni, in questo, un punto di non ritorno, per cui nel nostro Paese a livello artistico si poteva osare di più, andando fino in fondo nella dinamica della traduzione. Se le immagini deludono, i testi, invece – ed è ciò che più conta – vibrano, sorprendono, incantano. Specie i più noti: dai salmi, ai vangeli, agli snodi fondamentali della Torah la serietà e la poetica di quest’opera restituiscono a Dio la parola e al lettore il più profondo desiderio. 

Sergio Massironi

L’Osservatore Romano, 4 gennaio 2021

Un pensiero su “Un corpo a corpo

  1. Reverendo don Sergio, leggo solo ora la sua presentazione della Bibbia Einaudi, un mio progetto realizzato in dieci anni e con tanta pazienza, su il’osservatore. La ringrazio e sappia che condivido il suo giudizio su l’apparato iconografico, scelta dell’editore da me non condivisa. La informo che entro febbraio uscirà la stessa Bibbia con lo stesso testo in forma tascabile come avevo richiesto all’editore nel contratto. Appena sarà disponibile le invierò una copia se mi vorrà inviare il suo indirizzo. Grazie ancora e l’inverno che arriva le sia lieve. Cordiali saluti. Enzo bianchi

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